(da il Messaggero Veneto del 2016) – A Udine la prima gravidanza ottenuta con un embrione sottoposto a diagnosi pre-impianto in regione. Per una coppia di friulani, che presto diventeranno genitori, il desiderio più grande, quello di avere un figlio, sembrava un traguardo irraggiungibile da quando avevano scoperto di essere portatori sani di fibrosi cistica, una grave malattia genetica.
Chi nasce affetto da questa patologia ha ereditato un gene difettoso dal padre e dalla madre, portatori sani del gene Cftr mutato. In Italia c’è un portatore sano ogni 25 persone circa e una coppia di portatori sani, a ogni gravidanza, ha una probabilità su quattro di avere un figlio malato.
Di fronte a questa possibilità, molte coppie rinunciano a diventare genitori, altre scelgono di rischiare e di attendere il responso della diagnosi prenatale per prendere una decisione. E quando il feto risulta malato, non è infrequente che le coppie decidano di interrompere la gravidanza, una scelta sempre dolorosa.
Fino al maggio scorso la legge 40 vietava alle coppie fertili con patologie genetiche il ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Poi, la Consulta ha dichiarato illegittima la norma che prevedeva il divieto di accedere alla diagnosi pre-impianto e vietava l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche trasmissibili ai figli.
Per il Friuli Venezia Giulia e parte del Veneto, l’unico centro attrezzato per le tecniche di indagine sulla salute dell’embrione, ora, è il Servizio di Procreazione medicalmente assistita della Casa di cura Città di Udine, dove già due coppie si sono sottoposte a un ciclo di fecondazione in vitro, alla diagnosi pre-impianto sull’embrione e quindi all’impianto di un embrione sano in utero. In uno dei due casi il test di gravidanza ha già dato esito positivo.
La Casa di cura Città di Udine, clinica privata accreditata al Servizio sanitario nazionale e certificata per la Pma dal Centro nazionale trapianti, del resto, ha recentemente rafforzato il proprio servizio di Pma (diretto dal dottor Renzo Poli, medico specialista ginecologo) sviluppando le tecniche di indagine sull’embrione coordinate dalla dottoressa Veronica Bianchi (specialista in genetica con un post-doc a Yale) insieme all’équipe di biologhe (Magli e Furlan) in collaborazione con l’Università di Oxford con la quale la struttura ha stipulato un’importante convenzione.
La competenza maturata in tale ambito ha consentito di effettuare, sempre sugli stessi embrioni, anche lo screening genetico pre-impianto, una procedura che permette di ricercare eventuali anomalie cromosomiche (con stessa tecnica utilizzata per l’amniocentesi e la villocentesi a gravidanza iniziata), che possono ostacolare l’attecchimento provocando con aborti precoci, o che rischiano di sviluppare anomalie non compatibili con la vita. Procedure queste che aumentano considerevolmente le percentuali di successo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Tecnicamente, le due coppie sono state sottoposte a un normale ciclo di fecondazione in vitro; sugli embrioni ottenuti, in terza giornata, è stata effettuata una biopsia.
I campioni prelevati sono stati inviati all’Università di Oxford, dove sono state condotte le indagini genetiche, quindi è arrivata la comunicazione dell’esito alla clinica udinese. Gli embrioni, intanto, sono stati mantenuti in coltura in incubatore, così da giungere allo stadio di blastocisti e assicurare maggiori probabilità di attecchimento; il prelievo cellulare, infatti, non altera, né danneggia il prodotto del concepimento.
A due giorni dal prelievo della cellula da analizzare è arrivato il referto da Oxford, pertanto gli embrioni che non presentavano la patologia sono stati trasferiti nell’utero delle pazienti, dal dottor Renzo Poli e dalla dottoressa Bianchi.
«Le tecniche di indagine sulla salute dell’embrione sono fondamentali – commenta la dottoressa Bianchi – non solo per migliorare gli indici di successo dei percorsi di Pma in casi di ripetuti aborti, di età materna avanzata, oppure ancora in caso di ripetuti fallimenti di cicli di Pma, ma anche per consentire di avere figli sani alle coppie fertili, ma a rischio di trasmettere patologie ereditarie, evitando la necessità di sottoporsi a procedure invasive a gravidanza avviata».
«Oltre alle più sofisticate tecniche come quelle illustrate – informa la direzione della struttura –, il Servizio attivo al Policlinico di Viale Venezia, accreditato al Servizio
sanitario nazionale, garantisce alle coppie con problemi di sterilità le varie possibilità, in un’ottica di gradualità degli approcci: dalle semplici inseminazioni su ciclo naturale, alle fecondazioni in provetta, anche nei casi di grave sterilità maschile».